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Demansionamento del lavoratore

L’istituto del demansionamento del lavoratore è disciplinato dall’art. 2103 del c.c. il quale prevede espressamente che: “Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto (att. 96) o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione”.
Ne deriva come logica conseguenza che si configura il demansionamento non solo l’adibizione del lavoratore a mansioni inferiori, ma anche la sottrazione di compiti qualitativamente rilevanti.
La sanzione applicabile al demansionamento del lavoratore è la nullità che comporta l’inefficacia di ogni modificazione in peius, con l’attribuzione al lavoratore di un diritto alla restituzione delle mansioni originarie o altrimenti equivalenti oltre al risarcimento del c.d. danno alla professionalità.
E’ da rilevare, tuttavia, che la giurisprudenza maggioritaria ammette il patto di demansionamento come extrema ratioovvero quando è volto alla conservazione del posto di lavoro del lavoratore in seguito alla soppressione della precedente mansione.
In sostanza secondo la giurisprudenza maggioritaria la disciplina di cui all’art. 2103 c.c. va interpretata in modo elastico, ammettendo che il lavoratore possa essere adibito a mansioni inferiori quando, ad esempio nel caso di ristrutturazione aziendale, questa pratica sia volta ad evitare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Il decreto sul riordino dei contratti ha modificato la disciplina del mutamento di mansioni, legittimando l’assegnazione al livello inferiore nell’ambito della stessa categoria.
Si può scendere di categoria e di livello, con modifica (art. 2103, comma 6, c.c.) anche del trattamento retributivo in presenza di accordi individuali siglati nelle sedi protette di conciliazione e di certificazione, se stipulati nell’interesse alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita.
L’art. 3 del “codice dei contratti”, intitolato “Disposizioni in materia di rapporto di lavoro”, ha riscritto, infatti, il contenuto dell’art. 2103 cod.civ., disciplinando il nuovo lo ius variandi secondo quanto disposto dal Jobs Act.
Adesso, in presenza di modifiche degli assetti organizzativi aziendali che incidono sulla posizione del lavoratore, è possibile l’assegnazione a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti “nella medesima categoria legale” (art. 2103, comma 2, c.c.).
Altre ipotesi di legittimo demansionamento possono essere previste da contratti collettivi, anche aziendali (art. 2103, comma 4, c.c.).
In ogni caso, il lavoratore deve ricevere comunicazione per iscritto, a pena di nullità, circa il mutamento di mansioni e ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e trattamento retributivo precedente, fatta eccezione per gli elementi retributivi connessi a particolari modalità di svolgimento della prestazione lavorativa (art. 2103, comma 5, c.c.).
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