La giusta causa è disciplinata dall’art. 2119 c.c. il quale legittima ciascuna delle parti a recedere dal contratto qualora si verifichi “una causa che non consenta la prosecuzione neanche provvisoria del rapporto.”
In caso di recesso per giusta causa la parte che recede non è tenuta a dare il preavviso.
La dottrina e la giurisprudenza maggioritaria ravvisano nella giusta causa un gravissimo inadempimento degli obblighi contrattuali, ma anche qualsiasi altra circostanza o situazione esterna al rapporto di lavoro ma verificatasi nella sfera del rapporto di lavoro idonei a ledere la fiducia tra le parti e ad impedire la prosecuzione del rapporto(Cassazione sent. 19 dicembre 2000 n. 15919).
Per ciò che attiene alle cause esterne al rapporto di lavoro che configurano giusta causa, vi sono alcuni fatti o comportamenti apparentemente estranei alla sfera contrattuale e attinenti alla sfera personale del lavoratore che tuttavia possono compromettere il rapporto fiduciario alla base del rapporto di lavoro.
Si pensi ad esempio ad una cassiera di un supermercato condannata per furto commesso in un altro supermercato.
La giurisprudenza in tema di giusta causa è vastissima. La stessa ha sempre insistito sulla necessità di una valutazione complessiva e in concreto delle singole fattispecie ai fini della configurazione della giusta causa.
Da ultimo è da rilevare che i contratti collettivi spesso prevedono una serie di fattispecie idonee alla configurazionedella giusta causa. Tuttavia tali fattispecie, anche se frutto della contrattazione tra le parti sociali, non vincolano il giudice al quale compete di verificare in concreto la reale entità e gravità della mancanza.