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Nullità, inefficacia ed annullabilità del licenziamento

In presenza dei presupposti previsti dalla legge, il giudice potrà dichiarare la nullità, l’annullabilità o l’inefficacia del licenziamento.
Si ha la nullità del licenziamento quando risulta essere stato intimato:
– per motivi discriminatori: di razza, di opinioni politiche, di credo religioso, di sesso, di nazionalità, di partecipazione ad un sindacato;
– nei periodi di “non recedibilità” previsti dalla legge: di  maternità, di congedo matrimoniale, ecc.
L’annullabilità del licenziamento si verifica quando manca una giusta causa o un giustificato motivo oggettivo o soggettivo; il licenziamento annullabile rimane valido solo nel caso in cui il lavoratore non decida di impugnare l’atto.
L’inefficacia del licenziamento si produce quando questo è avvenuto senza il rispetto della procedura e della forma scritta prevista dalla legge.
In caso di nullità, annullabilità e inefficacia del licenziamento il lavoratore, assistito anche dall’organizzazione sindacale a cui ha aderito, può impugnare l’atto entro 60 giorni dalla sua ricezione, con un qualsiasi atto scritto idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore.
Con riferimento alla tutela prevista dal nostro ordinamento laddove il licenziamento sia illegittimo, le importanti novità apportate dalla legge n. 92/2012 (c.d. Riforma Fornero), in vigore dal 18 luglio 2012, e dal D.Lgs. 23/2015 (per i “contratti a tutele crescenti”), in vigore dal 7 marzo 2015, impongono di operare una distinzione tra:
– la tutela reale prevista dall’impianto normativo di cui all’art. 18 della legge n. 300/1970 e all’art. 2 della legge n.108/1990;
– la tutela obbligatoria (cioè solo risarcitoria) apprestata dalla Riforma del lavoro del 2012 per la quale la tutela “reale” è stata mantenuta solo per alcune specifiche, e più gravi, fattispecie;
– la tutela prevalentemente risarcitoria a “crescente” in base all’anzianità di servizio, disposta dal D.Lgs. 23/2015.

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