Il principio di parità di trattamento tra uomo e donna rappresenta un corollario del “principio di uguaglianza” sancito dall’art. 3 della Costituzione.
La parità di trattamento tra uomo e donna è garantita nel nostro ordinamento all’art.37 della Costituzione, che riconosce alla donna lavoratrice gli stessi diritti (parità nella progressione di carriera, nell’accesso e nell’opportunità lavorative) e la stessa retribuzione che spetta al lavoratore a parità di lavoro.
Il legislatore, nell’intento di garantire l’eguaglianza sostanziale fra uomo e donna, ha previsto delle azioni positive a favore delle donne, volte a garantire un trattamento preferenziale rispetto all’altro sesso e a colmare il divario che separa, di fatto ancora oggi, le donne lavoratrici dall’effettivo godimento delle stesse opportunità offerte agli uomini.
A livello comunitario è stata emanata un’importante direttiva (Dir. 2006/54/CE) volta ad assicurare l’applicazione del principio di parità di trattamento tra uomo e donna in materia di retribuzione,accesso al lavoro, condizioni di lavoro, accesso alla formazione professionale e la previdenza sociale.
Nelle forme pensionistiche complementari è vietata qualsiasi discriminazione diretta o indiretta, soprattutto per quanto riguarda: il loro campo d’applicazione e le relative condizioni d’accesso, l’obbligo di versare i contributi, il calcolo degli stessi e delle prestazioni, le condizioni relative alla durata e al mantenimento del diritto alle prestazioni.
Gli Stati sono chiamati ad adottare tutte le misure necessarie affinché siano soppresse le disposizioni legislative contrarie al principio della parità di trattamento, non soltanto nel mondo del lavoro ma anche in tutti i campi della vita sociale.
In particolare, la presente direttiva vieta le discriminazioni dirette o indirette tra uomini e donne per quanto riguarda le condizioni: di assunzione, di accesso all’occupazione o al lavoro autonomo; di licenziamento; di formazione e promozione professionale e di affiliazione alle organizzazioni dei lavoratori.
Tuttavia, una differenza di trattamento tra uomini e donne può essere giustificata per la particolare natura delle attività professionali, purché le misure prese siano legittime e proporzionate.
Tale direttiva è stata recepita nel nostro ordinamento con il D.Lgs n.5 del 2010 e rafforza il criterio di parità di trattamento e di opportunità tra uomini e donne già affermato nel nostro ordinamento, al fine di assicurare “l’eliminazione di ogni discriminazione basata sul sesso, che abbia come conseguenza o come scopo quello di compromettere o di impedire il riconoscimento, il godimento e l’esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo”.
Lo Stato italiano dunque si impegna a rimuovere degli ostacoli che limitano di fatto l’uguaglianza tra uomo e donna nella progressione professionale e di carriera e a promuovere: lo sviluppo di misure per il reinserimento della donna lavoratrice dopo la maternità, una maggiore diffusione del part-time e degli altri strumenti di flessibilità a livello aziendale, che possono consentire una migliore conciliazione tra vita lavorativa e impegni familiari.
I contratti collettivi, inoltre, possono prevedere misure specifiche, come i codici di condotta, le linee guida e buone prassi, per prevenire tutte le forme di discriminazione sessuale, le molestie e le molestie sessuali nel luogo del lavoro, nelle condizioni di lavoro, nella formazione e crescita professionale.