L’art. 2106 del Codice civile prevede che l’inosservanza da parte del lavoratore dell’obbligo di fedeltà, di obbedienza e diligenza nello svolgimento del rapporto di lavoro, può dar luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell’infrazione commessa e nel rispetto delle norme contenute nei contratti collettivi, le quali disciplinano e limitano il ricorso al potere disciplinare da parte del datore di lavoro.
Il datore di lavoro che intende esercitare questo tipo di potere è tenuto a rispettare il “procedimento” previsto nell’art.7 dello Statuto dei Lavoratori, previsto per assicurare una tutela al lavoratore e la congruità della sanzione.
Il potere disciplinare, unico strumento che la legge e la contrattazione collettiva mettono a disposizione del datore, risulta essere così “procedimentalizzato“, al fine di tutelare e garantire la trasparenza dell’esercizio di tale potere ai lavoratori.
L’art. 2106 circoscrive l’esercizio del potere disciplinare agli inadempimenti contrattuali degli obblighi assunti dal lavoratore al momento dell’assunzione; la giurisprudenza però dà rilievo anche ai comportamenti che ricadono nella sfera della vita privata del lavoratore e quindi estranei alla prestazione lavorativa, ma che possono far venire meno il rapporto di fiducia esistente tra i due soggetti.