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Risarcimento del danno a seguito di licenziamento illegittimo

Il licenziamento è illegittimo quando è intimato:
a) in assenza di giusta causa o giustificato motivo;
b) in mancanza della forma scritta;
c) per i motivi discriminatori, ossia quando il licenziamento sia dovuta:
– dalla circostanza che il lavoratore aderisca o non aderisca ad una associazione sindacale, abbia partecipato ad uno sciopero;
– da ragioni di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua, di sesso, di età o basate sull’orientamento sessuale o sulle convinzioni personali.
Il lavoratore può impugnare il licenziamento illegittimo mediante qualsiasi atto scritto, anche extra giudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore.
L’impugnazione deve avvenire entro 60 giorni dalla sua comunicazione, se non viene impugnato entro tale termine il lavoratore non potrà più contestare tale atto.
La tutela riconosciuta al lavoratore e l’entità del risarcimento del danno, a seguito di licenziamento illegittimo, varia a seconda delle dimensioni dell’unità produttiva in cui era impiegato il lavoratore.
Nelle unità produttive con meno di 15 dipendenti, viene applicata la “tutela obbligatoria“, che porta all’annullamento del licenziamento e l’obbligo per il datore o di riassumere il lavoratore, entro il termine di tre giorni, o il risarcimento del danno provocato, versandogli un’indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 e un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Il limite massimo del risarcimento del danno può essere innalzato a 10 mensilità per i lavoratori con almeno dieci anni di anzianità, a 14 mensilità per i lavoratori con anzianità superiore a venti anni in quelle aziende con più di 15 dipendenti.

Nelle unità produttive di maggiori dimensioni, l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori prevede: la reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento del danno subito a seguito di licenziamento illegittimo dal lavoratore, commisurato alla retribuzione globale di fatto  dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegra e comunque non inferiore alle cinque mensilità.

La reintegrazione può essere sostituita, su richiesta del lavoratore, da un’ indennità sostitutiva pari a 15 mensilità, da aggiungersi al risarcimento.

  
Il Jobs Act e il nuovo sistema sanzionatorio cd “a tutele crescenti”
A seguito della entrata in vigore del Jobs Act, la disciplina delle sanzioni in caso di licenziamento illegittimo ha subito importanti modifiche.
Il D.lgs. 23/2015 ha introdotto, infatti, un regime di tutele crescenti rispetto all’anzianità di servizio del lavoratore. Ecco cosa può accadere:
a) Licenziamento discriminatorio, nullo o orale (art. 2 del D.lgs. 23/2015).
Opera la reintegrazione nel posto di lavoro e spetta al lavoratore il risarcimento del danno. Si tratta di illeciti particolarmente gravi perché discriminatori (ad es. licenziamento della lavoratrice madre o a causa di matrimonio o legati alla disabilità) o nulli in base alla legge (licenziamenti intimati oralmente);
b) Licenziamento per giustificato motivo oggettivo/soggettivo e giusta causa (art. 3 comma 1 del D.lgs. 23/2015).
E’ previsto un indennizzo economico onnicomprensivo legato all’anzianità di servizio e non soggetto a contribuzione previdenziale. Nello specifico il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità, non soggetta a contribuzione previdenziale, di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione utile per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità.
Sono previste le seguenti eccezioni (art. 3, comma 2 e art. 4):
– il fatto materiale alla base del licenziamento per giustificato motivo soggettivo e per giusta causa è insussistente: spetta la reintegrazione sul posto di lavoro e il pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR dal giorno del licenziamento fino a quello della reintegrazione. La misura dell’indennità non può essere in ogni caso superiore a dodici mensilità;
– l’illegittimità del licenziamento – fermo restando il fatto materiale (ad es. la crisi aziendale) per difetto di motivazione o per vizi procedurali: il giudice dichiara comunque estinto il rapporto alla data del licenziamento e l’indennità erogata non può essere inferiore a un minimo di due e superiore a un massimo di dodici mensilità, variabili in base all’anzianità aziendale.

In caso di impugnativa del lavoratore, il datore di lavoro potrà revocare il licenziamento entro 15 giorni dalla relativa comunicazione, analogamente a quanto già previsto dalla Legge n.92/2012.

Gli importi indicati, nel caso di imprese con meno di 15 dipendenti, sono dimezzati e possono essere pari a massimo 6 mensilità dell’ultima retribuzione.

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