Il Decreto Flussi 2022 prevede l’obbligo per i datori di lavoro di verificare preliminarmente la disponibilità di lavoratori nazionali – cioè italiani, cittadini dell’Unione Europea o stranieri legalmente abilitati a lavorare in Italia – prima di richiedere l’assunzione di un lavoratore straniero. Questa disposizione solleva alcune questioni, in particolare riguardo l’interpretazione del concetto di “non idoneità”.
L’articolo 22, comma 2, del Testo Unico sull’Immigrazione stabilisce che un datore di lavoro italiano o uno straniero residente legalmente in Italia che intenda instaurare un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato con uno straniero residente all’estero deve presentare una serie di dichiarazioni e documenti, ma solo “previa verifica, presso il centro per l’impiego competente, della indisponibilità di un lavoratore presente sul territorio nazionale“.
Il Testo Unico non fornisce indicazioni chiare sulla possibilità per il datore di lavoro di insistere sull’assunzione di un lavoratore straniero, anche se la verifica presso il centro per l’impiego ha rivelato la presenza di potenziali candidati nazionali. Tuttavia, il Regolamento di attuazione del Testo Unico (DPR 394/1999) all’articolo 30-quinques, comma 3, prevede che, se il centro per l’impiego comunica entro 20 giorni la disponibilità di lavoratori residenti sul territorio italiano, la richiesta di nulla osta per l’assunzione del lavoratore straniero rimane sospesa “sino a quando il datore di lavoro comunica, dando atto della valutazione delle predette offerte, allo Sportello unico e, per conoscenza, al Centro per l’impiego, che intende confermare la richiesta di nullaosta relativa al lavoratore straniero“.
Questo riferimento al concetto di “conferma” ha portato alcuni a pensare che la presenza di un lavoratore nazionale disponibile non sia più una questione rilevante. Tuttavia, il DPCM del 29 dicembre 2022, che ha definito i flussi migratori per il 2022, ha introdotto il concetto di “inidoneità” del lavoratore, se identificato dal centro per l’impiego per svolgere l’attività offerta allo straniero.
In particolare, l’articolo 9, comma 3, lettera b) del DPCM elenca tra le circostanze che permettono di dichiarare l’indisponibilità del lavoratore nazionale la “non idoneità del lavoratore accertata dal datore di lavoro prima della richiesta di nulla osta, ad esito dell’attività di selezione del personale inviato dal centro per l’impiego”.
Emerge qui un’ambiguità: il termine “non idoneità” sembra implicare una valutazione negativa delle competenze e delle attitudini del lavoratore, al punto da preferire l’assunzione di un lavoratore straniero. Sembra poco plausibile stabilire a priori che un lavoratore nazionale, identificato dal centro per l’impiego e disponibile a svolgere il lavoro offerto, sia inidoneo.
Di fronte a questa situazione, quali azioni dovrebbe intraprendere il datore di lavoro? Dovrebbe sottoporre il candidato nazionale a un test di valutazione? E il lavoratore nazionale rifiutato perché ritenuto “non idoneo” avrà diritto a contestare tale valutazione, che comporta la perdita di un’opportunità di lavoro?
Inoltre, la legge prevede che il datore di lavoro autocertifichi la condizione di inidoneità attraverso una dichiarazione sostitutiva di notorietà, secondo quanto stabilito dall’articolo 47 del DPR 445/2000, che comporta anche responsabilità penali.
Si attendono quindi chiarimenti da parte del legislatore su questo delicato punto.