Il contratto di somministrazione è un particolare tipo di rapporto che si basa su una struttura trilaterale. Questo tipo di contratto si sviluppa su due livelli di interazione: da un lato, tra l’agenzia di somministrazione e il lavoratore, instaurando un rapporto di natura subordinata; dall’altro, tra l’agenzia stessa e l’impresa che richiede il lavoratore, conosciuta come impresa utilizzatrice.
A differenza del classico rapporto di lavoro subordinato, in cui i poteri di direzione e organizzazione sono esclusivamente detenuti dal datore di lavoro, nel contratto di somministrazione questi poteri vengono trasferiti all’impresa utilizzatrice.
Il lavoratore, benché formalmente dipendente dell’agenzia di somministrazione, opera presso l’impresa utilizzatrice, potendo avere un contratto a tempo determinato o indeterminato, ed eseguendo le sue mansioni nell’interesse di quest’ultima.
La legge tutela il lavoratore somministrato, garantendo che le sue condizioni lavorative siano paragonabili a quelle dei dipendenti diretti dell’impresa utilizzatrice. L’art. 35 del D.lgs 15 giugno 2015 n. 81 sancisce che i lavoratori somministrati non devono trovarsi in una situazione svantaggiata rispetto ai loro colleghi interni. Ancora, l’art. 36 garantisce i diritti sindacali dei lavoratori somministrati, permettendo loro di partecipare attivamente alla vita sindacale e alle assemblee dell’impresa in cui sono collocati.
Emergono, quindi, delle questioni fondamentali: a quale contratto collettivo dovrebbe fare riferimento il lavoratore somministrato? E ha diritto ai benefici sindacali previsti per i dipendenti dell’impresa utilizzatrice? Rispetto a queste questioni, il Ministero del Lavoro, con l’interpello n. 1 del 2023, ha precisato che, sebbene il lavoratore somministrato faccia primariamente riferimento al contratto collettivo dell’agenzia di somministrazione, ha anche diritto di esercitare i diritti sindacali previsti dall’impresa utilizzatrice.