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Il nuovo ruolo della contrattazione collettiva nei contratti a termine dopo il Decreto Lavoro

Il decreto Lavoro conferisce ai contratti collettivi un ruolo cruciale e delicato: l’elaborazione delle motivazioni che legittimano l’uso del lavoro a termine (anche in somministrazione) oltre i 12 mesi o nel caso di rinnovo.

Questo riferimento alla contrattazione collettiva, coerentemente con il Dlgs 81/2015, è limitato solo ad alcuni tipi di accordi: si considerano le intese stipulate a livello nazionale, territoriale o aziendale dalle organizzazioni sindacali e datoriali più rappresentative a livello nazionale.

Quale margine di manovra hanno questi accordi nella formulazione delle motivazioni? La legge sembra concedere ampio spazio alla contrattazione collettiva.

Secondo la nuova normativa, infatti, gli accordi firmati dalle parti sociali possono specificare i “casi” in cui è permesso il rinnovo o la proroga, oltre i 12 mesi, dei contratti a termine e di somministrazione. Il termine “casi” segna una differenza significativa con la normativa del decreto Sostegni bis (Dlgs. 73/2021) che, invece, attribuiva ai contratti collettivi il potere di definire le “specifiche esigenze” aziendali: un’espansione del campo d’azione che permetterà alle parti di delineare non solo le motivazioni legate alle necessità dei datori di lavoro (le “specifiche esigenze”), ma di aggiungere anche ipotesi soggettive per la proroga oltre 12 mesi o il rinnovo dei contratti.

Nel caso in cui le parti sociali desiderino riferirsi alle esigenze aziendali, potranno identificare situazioni che si sviluppano durante la vita dell’impresa: un aumento della produttività legato a richieste di mercato impreviste, il lancio di un nuovo prodotto, la variazione dei volumi di attività in determinati periodi dell’anno, la necessità di un numero maggiore di dipendenti per un periodo limitato di tempo.

D’altro canto, se si desidera fare riferimento a ipotesi soggettive, le parti sociali potrebbero scegliere di permettere il rinnovo o la proroga oltre l’anno in presenza di certe caratteristiche individuali (ad esempio, lavoratori in situazioni di svantaggio), indipendentemente dalle esigenze dell’impresa.

La presenza di una motivazione nel contratto nazionale o di secondo livello (ossia territoriale o aziendale) non dovrebbe indurre i singoli datori di lavoro a replicare in modo identico nel contratto individuale quanto concordato a livello collettivo. Piuttosto, un datore di lavoro, di fronte a una delle esigenze previste dal contratto, dovrà personalizzare quella clausola generale in relazione al singolo contratto.

Ad esempio, in presenza di una motivazione che legittima l’uso del lavoro a termine per “incremento dell’attività produttiva”, il singolo datore di lavoro dovrà dettagliare qual è la situazione che porta a tale incremento (ad es. un nuovo ordine) e perché questa genera la necessità di un lavoratore a termine.

Centro Studi | Studio Cassone

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