Il comportamento del datore di lavoro che impone, al proprio dipendente, una condizione di forzata inattività, anche se non caratterizzato da uno specifico intento persecutorio ed anche in mancanza di conseguenze e decurtazioni sulla retribuzione del prestatore, viola il contenuto di cui all’art. 2103 c.c.
Questo in quanto sussiste in capo al lavoratore non solo il dovere ma anche il diritto di eseguire la propria prestazione lavorativa essendo il lavoro non solo uno strumento di guadagno, ma anche una modalità di esplicazione del valore professionale e delle dignità di ciascuno.
Ne consegue, dunque, che la forzata inattività del lavoratore imposta dal datore di lavoro può comportare un pregiudizio che può incidere sulla vita professionale e di relazione del soggetto che subisce tale comportamento, con una dimensione patrimoniale che rende il pregiudizio medesimo suscettibile di risarcimento del danno valutabile anche in via equitativa.
(Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, 2 novembre 2021, n. 31182)