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Inefficacia delle dimissioni anche oltre il periodo protetto se non convalidate

I genitori lavoratori sono tutelati qualora rassegnino le dimissioni in particolari periodi della loro vita lavorativa che coincidono con l’acquisizione dello status genitoriale. In tali periodi, c.d. protetti, (gravidanza e primi tre anni di vita del figlio) per evitare che si possano verificare situazioni di pressione da parte del datore di lavoro a seguito della nuova condizione genitoriale e garantire la genuinità delle dimissioni, frutto di una libera scelta della lavoratrice o del lavoratore, le dimissioni per essere efficaci devono essere convalidate davanti all’Ispettorato Territoriale del Lavoro (in breve ITL). Solo a condizione che tale convalida sia effettuata dal dimissionario il rapporto di lavoro può considerarsi concluso.

Sono soggette a convalida da parte del ITL le dimissioni rese:

  • della lavoratrice madre in stato di gravidanza;
  • della lavoratrice o del lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o comunque nei primi tre anni di accoglienza di un minore adottato o in affidamento o, in caso di adozione internazionale, nei tre anni successivi alla comunicazione della proposta di incontro con il minore;
  • nel periodo che intercorre tra la data delle pubblicazioni e l’anno successivo alla celebrazione del matrimonio.

Pertanto, in forza della norma secondo cui l’efficacia delle dimissioni rese dalla lavoratrice nel periodo di maternità è sospesa fino a quando non interviene la convalida del Servizio Ispettivo del Ministero del Lavoro continua a trovare applicazione anche dopo la fine del periodo protetto.

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 5598 del 23 febbraio 2023, ha affermato il principio per cui la necessità di procedere o meno con la convalida deve, infatti, essere valutata in base al momento in cui la lavoratrice ha comunicato le proprie dimissioni e il rispetto di questa condizione è essenziale poiché la mancanza della convalida impedisce al recesso di produrre effetto anche se il periodo protetto si è successivamente concluso.

Prosegue inoltre nella sentenza confermando che, oltre all’osservanza dell’art. 55, comma 4, del Testo Unico a sostegno della maternità e paternità che prevede che le dimissioni della lavoratrice durante il periodo di gravidanza e della lavoratrice e del lavoratore nei primi tre anni di vita del bambino debbano essere convalidate dal servizio ispettivo ministeriale, in un’ottica più generale di tutela, tale convalida non viene meno trascorso il periodo di protezione.

Viene precisato, quindi, che alla convalida è sospensivamente condizionata l’efficacia della risoluzione del rapporto.

La finalità della convalida è quella di tutelare la genuinità e la spontaneità delle dimissioni evitando che possano essere scaturite da pressioni che il datore di lavoro abbia esercitato in una situazione psicologica di debolezza del dipendente o che quest’ultimo sia stato influenzato dalla necessità di tutela della prole rispetto alle esigenze di salvaguardia occupazionale.

In questo contesto, la circostanza che il periodo protetto sia venuto, nel frattempo, a scadenza è un elemento neutro, come tale inidoneo «ad incidere, ora per allora, sulla modalità di formazione della volontà dimissiva espressa dal dipendente».

La decisione in esame, è evidente, ha risvolti pratici di non poco conto, perché alla lavoratrice dimissionaria nel periodo di maternità, in assenza di convalida, continueranno a essere dovute le retribuzioni (detratti gli eventuali importi percepiti da altri datori di lavoro) anche dopo la cessazione del periodo protetto.

Il caso affrontato dalla Corte di Cassazione è di esempio su questo punto:
in primo grado il datore di lavoro era stato condannato al pagamento delle differenze retributive e del TFR maturate dalla data delle dimissioni non convalidate alla data in cui era venuto meno il periodo protetto.
La Corte d’appello di Roma aveva, invece, riformato questo passaggio, disponendo che le differenze retributive competessero anche per il periodo successivo e fino al deposito del ricorso in giudizio, dedotto quanto la lavoratrice aveva percepito da altra occupazione.
La Cassazione conferma la sentenza d’appello e rimarca che la “finalità antiabusiva” della norma sarebbe vanificata da una applicazione dell’obbligo della convalida limitato alla durata del periodo protetto.
La conclusione è, dunque, che l’efficacia delle dimissioni resta sospesa fino alla convalida del servizio ispettivo ministeriale e non, invece, solo fino alla cessazione del periodo protetto di astensione per maternità fruito dalla lavoratrice.

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