In tema di procedimento disciplinare, uno dei principi fondamentali da seguire è quello dell’immediatezza-tempestività della contestazione, che presuppone il fatto che l’addebito debba essere contestato immediatamente al dipendente.
Tale regola, tuttavia, non deve essere intesa in senso assoluto ma in un’accezione relativa, tenendo conto delle ragioni oggettive che possono legittimamente ritardare la percezione o l’accertamento, oltre che la valutazione stessa, dei fatti da contestare da parte dell’azienda.
Questo avviene soprattutto nelle ipotesi in cui il comportamento del lavoratore consista in una serie di fatti che, nonostante le diverse condotte, esigono una valutazione complessiva ed unitaria da parte del datore di lavoro.
Da ciò discende che, l’intimazione di un licenziamento c.d. “disciplinare”, ovvero motivato da una condotta posta in essere dal lavoratore in violazione di regole di comportamento stabilite dalla legge, dalla contrattazione collettiva, oltre che dal codice disciplinare, può seguire anche dall’ultimo dei fatti addebitabili al dipendente anche se verificati ad una certa distanza temporale dai precedenti comportamenti.
Il rispetto del principio di immediatezza-tempestività andrà, dunque, verificato tenendo conto di alcuni aspetti tra i quali: la complessità dell’organizzazione aziendale e del relativo organigramma sociale, il momento in cui il datore di lavoro ha avuto effettiva conoscenza dei fatti contestati.
Nel caso di illecito continuato (ossia costituito da più condotte da valutare complessivamente) si deve far riferimento al momento di cessazione della continuazione in quanto solo in quel momento il datore di lavoro ha la possibilità di valutare i fatti nel loro complesso e stabilire la congrua e proporzionata sanzione disciplinare da irrogare
(Corte d’Appello di Roma, Sez. Lavoro 21 gennaio 2022, n. 207)