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Recesso anticipato nel contratto di lavoro a tempo determinato

Il contratto di lavoro a tempo determinato, disciplinato dal D.Lgs. n. 81/2015, è un contratto di lavoro considerato ‘speciale’ rispetto alla disciplina generale del lavoro subordinato posto che, nel nostro ordinamento, il contratto di lavoro a tempo indeterminato è, ancora attualmente, la forma contrattuale ordinaria alla quale le aziende – in ipotesi – dovrebbero ricorrere con maggior frequenza.

La sua specialità deriva proprio dalla durata in quanto l’apposizione del termine finale del contratto lo sottopone a una scadenza già prestabilita dalle Parti in sede di sottoscrizione. Raggiunto, quindi, tale naturale termine di scadenza, il contratto cessa automaticamente senza che le Parti debbano, in merito, comunicarsi reciprocamente alcunché.

Ma che cosa succede nel caso in cui una delle Parti receda anticipatamente dal termine?
Nel contratto a tempo indeterminato la possibilità di recesso è concessa a entrambe le Parti, lavoratore o datore di lavoro.
Il lavoratore può recedere dal contratto avendo cura di comunicare con un preavviso, stabilito dal CCNL o dalle Parti stesse, la volontà di far cessare il contratto in essere, mentre il recesso da parte del datore è possibile in caso di giustificato motivo oggettivo o soggettivo, rispettando il preavviso, oppure qualora sussista una giusta causa, senza necessità di preavviso.

Nel contratto a tempo determinato, al contrario, avendo le parti sin dalla stipula convenuto un impegno reciproco per un determinato periodo di tempo, non è di norma concesso il recesso anticipato rispetto al termine, tranne nel caso sussista una giusta causa.
Pertanto, il recesso anticipato da un contratto a tempo determinato può avvenire solo in presenza di giusta causa.

Nel caso in cui invece il recesso avvenga senza giusta causa, la parte che subisce il recesso può chiedere alla parte recedente un risarcimento del danno; quindi, è prevista la possibilità, anche per il datore di lavoro, di richiedere il risarcimento del danno qualora sia il lavoratore e recedere.

Tuttavia, nel corso del tempo, l’onere della prova e la quantificazione del danno hanno subito un diverso trattamento, in sede giurisprudenziale, a seconda che il richiedente fosse il lavoratore o il datore di lavoro.

La giurisprudenza ha progressivamente delineato una pratica valutativa che quantifica il danno, quando il recesso illegittimo avvenga da parte del datore di lavoro, in un ammontare pari all’importo delle retribuzioni che il lavoratore avrebbe percepito dalla cessazione anticipata del rapporto di lavoro e fino alla scadenza naturale del contratto. Diversa la questione quando a recedere è il lavoratore; in tal caso il datore di lavoro dovrà agire in giudizio per richiedere il risarcimento del danno, provando la sussistenza del danno stesso, dimostrando l’effettività del danno subito oltre a quantificare e provare l’ammontare del danno.

Ne consegue che la richiesta di risarcimento del danno, nella prassi, è spesso attivata dal lavoratore e meno frequentemente dal datore di lavoro che, nella valutazione complessiva, dovrà necessariamente considerare le difficoltà di raggiungere la prova e di quantificazione del danno subito.

Risulta, per concludere, necessario, nel momento della stipula di un contratto a tempo determinato, valutare attentamente la durata del contratto stesso.

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